sabato 29 novembre 2014

La società dello spettacolo di Guy Debord e la critica rivoluzionaria (Michele Nobile)

L’inattualità della Società dello spettacolo, nel mondo falso in cui è verificata

A rileggerla oggi, vien da pensare che la Società dello spettacolo di Guy Debord sia di straordinaria inattualità: ma proprio perché, da quel lontano 1967, il processo storico di spettacolarizzazione della società è ora giunto a compimento.
Nel discorso contemporaneo i termini spettacolo e spettacolarizzazione ricorrono frequentemente: ad esempio, non sono rare espressioni come politica-spettacolo e spettacolarizzazione della politica; il termine americanizzazione li implica entrambi, essendo erroneamente considerati gli Stati Uniti come patria dello spettacolo (come si vedrà, invece, i partiti operai europei hanno svolto un ruolo di primo piano nella formazione della società dello spettacolo); è una banalità sottolineare l’importanza, ai fini del successo, dell’immagine degli individui, sia comuni spettatori che pubblici attori. Ed è un fatto che, quale sia il campo nel quale sono state fatte emergere, le vedette dello spettacolo possono trascorrere tranquillamente dal commento sportivo alla discussione di bioetica, dalla dietetica alla politica internazionale. Altamente spettacolari sono le grandi mostre itineranti, che rappresentano l’imbalsamazione commerciale dell’arte, e massimamente spettacolare fu l’attacco terroristico alle torri gemelle: a dimostrare che perfino i nostalgici dell’Umma medievale hanno fatto propria la spettacolarità quale dimensione essenziale della politica postmoderna e postdemocratica. Logica postmodernista nell’uso dei mezzi comunicativi - e distruttivi - e neomedievalismo integralista possono fondersi nell’azione e nella falsa coscienza spettacolare. La società dell’immagine e degli eventi spettacolari è messa in scena da un insieme di apparati vastissimo e diversificato.
Dunque, riconsiderando sia la realtà dello spettacolo della società contemporanea, sia l’enorme diffusione della varia letteratura intorno all’immagine e allo spettacolo, ci si può sentire autorizzati a considerare la Società dello spettacolo come uno dei testi di maggior successo dell’ultimo mezzo secolo: se non come copie vendute, almeno per influenza sull’intellettualità postmoderna. Tuttavia, penso si tratti di un’influenza mediata e indiretta: in sostanza, una banalizzazione che si limita a vedere solo la superficie dei fenomeni della spettacolarizzazione.  
L’analisi di Debord permette di dare un senso storico sia alle trasformazioni strutturali sia alle rielaborazioni ideologiche omogenee all’ordine esistente, quali si sono dispiegate tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. La Società dello spettacolo delinea le caratteristiche principali e la ragion d’essere dell’atmosfera sociale, politica, culturale e, perfino!, economica a noi contemporanea. E appare inattuale perché, portato a compimento il processo di spettacolarizzazione della società e, vivendo noi dentro questa atmosfera, è difficile distanziarsene e prenderne coscienza. Il perfezionamento postmoderno della società dello spettacolo comporta il trionfo della tesi della fine delle ideologie ma con la differenza, rispetto alle aspettative degli anni ’60, che il trionfo è tale perché è sopravvissuta un’unica visione ideologica del mondo o, meglio, abbiamo «una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata» (tesi 5, La società dello spettacolo, introduzione e cura di Pasquale Stanziale, Massari editore, Bolsena 2002, p.44. D’ora in poi l’indicazione delle pagine si riferisce a questa edizione). Che è, appunto, la società dello spettacolo come fatto sociale totale e totalizzante. In tempi più recenti la tesi della fine delle ideologie è stata riproposta con l’idea della fine della storia, postulando la società capitalistica e liberaldemocratica quale l’unico orizzonte oramai disponibile all’umanità. La risposta che diede allora Debord si attaglia perfettamente all’atmosfera mentale postmoderna:

«Quando l'ideologia, che è la volontà astratta dell'universale e la sua illusione, si trova legittimata dall'astrazione universale e dall'effettiva dittatura dell'illusione nella società moderna, essa non è più la lotta volontaristica del parcellare, ma il suo trionfo» (tesi 213).

Non si tratta qui del «pensiero unico neoliberista». Il pensiero dei politici e le strategie messe in atto dalle grandi società transnazionali non si riducono ad un’unica forma: sono piuttosto elastici, pragmatici, sono liberisti e mercantilisti secondo la convenienza e i bersagli. Lo spettacolo può essere una intera società perché è un periodo storico, in tutte le sue molteplici articolazioni e divisioni, nel suo insieme e nella sua complessità. Nel senso di Debord lo spettacolo non è il settore specifico della cosiddetta comunicazione di massa, né il prodotto spontaneo dell’evoluzione tecnologica, né uno stile: «lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente (…) costituisce il modello presente della vita socialmente dominante»; «è il momento storico che ci contiene» (tesi 6 e 11, pp. 44 e 46).
Tuttavia, coloro che ragionano dello spettacolo e dell’immagine sono per lo più irretiti nel suo stesso gioco e ne sono essi stessi agenti: si limitano a un discorso, più o meno critico, su quel che è relativo allo spettacolo come settore specifico e come apparenza fenomenica. In tal caso, la critica è moralistica, rimane limitata agli eccessi della spettacolarizzazione, magari auspica un ritorno ai buoni vecchi tempi, quando lo spettacolare era meno pervasivo, la riscoperta degli antichi valori - come se non avessero, a loro tempo, legittimato il medesimo ordine sociale che ora li scarta o li proclama per fini particolari - comportamenti più sobri, ma non coglie il senso profondo della centralità odierna dell’immagine e dello spettacolo come forma del rapporto sociale. 

* Questo paragrafo è parte di un saggio di prossima pubblicazione in occasione del XX anniversario della morte di Guy Debord

venerdì 14 novembre 2014

"Vorrei... Fare un film" (Kapitan Mikonos + DadA + NoE' + MaV + NeF + EssO)

Gioiello oltre-artistico questo "Vorrei... Fare un film" di Kapitan Mikonos (alias Marco Rizzo). Da uno che dichiara subito "non mi sento più un artista, forse non sono mai stato un artista", cosa aspettarsi se non una purissima velenosissima orgia sonora della contro-arte-vaporizzata? Esplorazione rumoristica parascientifica sulla storia umana tra teorie e cazzate varie. DadA + NoE' + MaV + NeF + EssO = di che stavamo parlandoooooooo?

Vorrei... Fare un film



Prodotto da
Kapitan Mikonos e Benedetto Fanna

Direzione video
Kapitan Mikonos

Montaggio
Roberto Dogustan

Music, Written, Produced, Arranged/Composed and Performed by
Kapitan Mikonos



** dal minuto 35.50 a 36.50: TRIO DADA-MAV in ODE AL RUMORE **