L’inattualità
della Società dello spettacolo, nel mondo falso in cui è verificata
A rileggerla
oggi, vien da pensare che la Società
dello spettacolo di Guy Debord sia di straordinaria inattualità: ma proprio
perché, da quel lontano 1967, il processo storico di spettacolarizzazione della
società è ora giunto a compimento.
Nel discorso
contemporaneo i termini spettacolo e spettacolarizzazione ricorrono
frequentemente: ad esempio, non sono rare espressioni come politica-spettacolo
e spettacolarizzazione della politica; il termine americanizzazione li implica
entrambi, essendo erroneamente considerati gli Stati Uniti come patria dello
spettacolo (come si vedrà, invece, i partiti operai europei hanno svolto un
ruolo di primo piano nella formazione della società dello spettacolo); è una
banalità sottolineare l’importanza, ai fini del successo, dell’immagine degli
individui, sia comuni spettatori che pubblici attori. Ed è un fatto che, quale
sia il campo nel quale sono state fatte emergere, le vedette dello spettacolo
possono trascorrere tranquillamente dal commento sportivo alla discussione di
bioetica, dalla dietetica alla politica internazionale. Altamente spettacolari
sono le grandi mostre itineranti, che rappresentano l’imbalsamazione
commerciale dell’arte, e massimamente spettacolare fu l’attacco terroristico
alle torri gemelle: a dimostrare che perfino i nostalgici dell’Umma medievale
hanno fatto propria la spettacolarità quale dimensione essenziale della
politica postmoderna e postdemocratica. Logica postmodernista nell’uso dei
mezzi comunicativi - e distruttivi - e neomedievalismo integralista possono
fondersi nell’azione e nella falsa coscienza spettacolare. La società
dell’immagine e degli eventi spettacolari è messa in scena da un insieme di
apparati vastissimo e diversificato.
Dunque, riconsiderando sia la realtà dello
spettacolo della società contemporanea, sia l’enorme diffusione della varia
letteratura intorno all’immagine e allo spettacolo, ci si può sentire
autorizzati a considerare la Società
dello spettacolo come uno dei testi di maggior successo dell’ultimo mezzo
secolo: se non come copie vendute, almeno per influenza sull’intellettualità
postmoderna. Tuttavia, penso si tratti di un’influenza mediata e indiretta: in
sostanza, una banalizzazione che si limita a vedere solo la superficie dei
fenomeni della spettacolarizzazione.
L’analisi di
Debord permette di dare un senso storico sia alle trasformazioni strutturali
sia alle rielaborazioni ideologiche omogenee all’ordine esistente, quali si
sono dispiegate tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. La Società dello spettacolo delinea le
caratteristiche principali e la ragion d’essere dell’atmosfera sociale,
politica, culturale e, perfino!, economica a noi contemporanea. E appare
inattuale perché, portato a compimento il processo di spettacolarizzazione
della società e, vivendo noi dentro questa atmosfera, è difficile
distanziarsene e prenderne coscienza. Il perfezionamento
postmoderno della società dello spettacolo comporta il trionfo della tesi della
fine delle ideologie ma con la differenza, rispetto alle aspettative degli anni
’60, che il trionfo è tale perché è sopravvissuta un’unica visione ideologica del
mondo o, meglio, abbiamo «una Weltanschauung
divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo
che si è oggettivata» (tesi 5, La società dello spettacolo, introduzione e cura di
Pasquale Stanziale, Massari editore, Bolsena 2002, p.44. D’ora in poi
l’indicazione delle pagine si riferisce a questa edizione).
Che è, appunto, la società dello spettacolo come fatto sociale totale e
totalizzante. In tempi più recenti la tesi della fine delle ideologie è stata
riproposta con l’idea della fine della storia, postulando la società
capitalistica e liberaldemocratica quale l’unico orizzonte oramai disponibile
all’umanità. La risposta che diede allora Debord si attaglia perfettamente
all’atmosfera mentale postmoderna:
«Quando
l'ideologia, che è la volontà astratta
dell'universale e la sua illusione, si trova legittimata dall'astrazione
universale e dall'effettiva dittatura dell'illusione nella società moderna,
essa non è più la lotta volontaristica del parcellare, ma il suo trionfo» (tesi
213).
Non si tratta qui
del «pensiero unico neoliberista». Il pensiero dei politici e le strategie
messe in atto dalle grandi società transnazionali non si riducono ad un’unica
forma: sono piuttosto elastici, pragmatici, sono liberisti e mercantilisti secondo
la convenienza e i bersagli. Lo spettacolo può essere una intera società perché è un periodo storico, in tutte le sue molteplici articolazioni e
divisioni, nel suo insieme e nella sua complessità. Nel senso di Debord lo
spettacolo non è il settore specifico della cosiddetta comunicazione di massa,
né il prodotto spontaneo dell’evoluzione tecnologica, né uno stile: «lo spettacolo,
compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto
del modo di produzione esistente (…) costituisce il modello presente della vita socialmente dominante»; «è il momento
storico che ci contiene» (tesi 6 e 11, pp. 44 e 46).
Tuttavia,
coloro che ragionano dello spettacolo e dell’immagine sono per lo più irretiti
nel suo stesso gioco e ne sono essi stessi agenti: si limitano a un discorso,
più o meno critico, su quel che è relativo allo spettacolo come settore
specifico e come apparenza fenomenica. In tal caso, la critica è moralistica,
rimane limitata agli eccessi della spettacolarizzazione, magari auspica un
ritorno ai buoni vecchi tempi, quando lo spettacolare era meno pervasivo, la riscoperta degli antichi valori - come se non
avessero, a loro tempo, legittimato il medesimo ordine sociale che ora li
scarta o li proclama per fini particolari - comportamenti più sobri, ma non
coglie il senso profondo della centralità odierna dell’immagine e dello
spettacolo come forma del rapporto sociale.
* Questo paragrafo è parte di un saggio di prossima pubblicazione in occasione del XX anniversario della morte di Guy Debord