martedì 20 gennaio 2015

Il fallimento di Hunter "Patch" Adams: i Clown di corsia

Trasformare gli ospedali in ritrovi divertenti, mediante five o' clock thea esilarantissimi, café-chantants, clowns Imporre agli ammalati delle fogge comiche, truccarli come attori, per suscitare fra loro una continua gaiezza. I visitatori non potranno entrare nei palchetti delle corsie se non dopo esser passati per un apposito istituto di laidezza e di schifo, nel quale si orneranno di enormi nasi foruncolosi, di finte bende, ecc. ecc.

[Il Controdolore - Aldo Palazzeschi 1913]

clownCorsiaDa quel poco che so dalla sua biografia e quello che si intuisce dal film noto ai botteghini (che egli stesso non vede di buon occhio), ho la sensazione che Hunter "Patch" Adams avesse intuito e, ancor più, praticamente realizzato questa parte del miraggio del Controdolore.

L'idea fondamentale è che non c'è nulla di abbastanza sacro da non poterci ridere sopra (Nulla fu creato con malinconia, ricordatelo bene; nulla è triste profondamente, tutto è gioioso). Quando si dice nulla, nulla si intende. E per quanti aspetti esistano facili da essere ridicolizzati, su cui o di cui ridere, è sugli altri che bisogna concentrarsi perché richiedono una forma di attenzione più profonda. Questo è il vero punto: analizza tutto ciò che trovi più proibito, o più sacro fino a scoprire un'unica grande trasversale verità:

tutto è risibile.

Patch Adams aveva capito questo in un ambito difficilissimo: la malattia e quindi il dolore e la morte. Il compito che si era dato è che ha voluto comunicare al mondo, in my humble opinion, è stato quello di aiutarsi e aiutare a riscoprire come il dolore e la morte sono una parte naturale della vita e come tali da accettare fino al punto da poterci scherzare e ridere sopra come faresti di un amico. Non credo di stare attribuendogli troppa lungimiranza: sue azioni e citazioni confermano in tutto e per tutto il punto di vista geniale di Palazzeschi con qualche decennio di ritardo, ma con il grande merito di aver realizzato in opere e fatti un discorso ai tempi puramente e inevitabilmente accademico.

Il dolore e la morte sono tra le sfide più terribili che abbiamo dovuto e che dovremo affrontare. Direttamente o indirettamente. Chi è capace di ridere del dolore e della morte non può avere più paura di nulla, e una vita senza paure è la vita più serena che si possa immaginare. Per arrivare a questo, bisogna essere capaci di guardare in faccia sia al dolore che alla morte, familiarizzarci, diventare di casa; dopodiché lo si può insegnare agli altri, li si può guidare in un percorso difficilissimo verso la più lontana delle mete: ridere della morte.

Poi, per come è strutturata oggi la sanità (italiana, ma mi pare di capire è così anche in America e forse in tutto il mondo), l'idea che il medico sia una sorta di semidio da cui dipende la nostra vita trasforma il rapporto paziente medico in una sorta adorazione pre-religiosa e la gerarchia ospedaliera in una casta ecclesiastica. Pensandoci razionalmente (e quando si è in salute soprattutto!) è evidente che questa cosa non ha nessun senso! Il medico è un lavoro come tanti altri, particolarmente impegnativo che richiede doti fisiche ed intellettuali non indifferenti e di grande responsabilità, ma non più di mille altri lavori. Ma questo da solo non basta a rimuovere l'effetto "la prego mi salvi" nel momento di disperato bisogno. Complice l'approccio meccanico alla sanità tipico della cultura occidentale o, in senso esteso, alla cultura capitalistica secondo la quale comprare un servizio sanitario è equivalente a qualunque altro scambio commerciale.

Non è così. Patch Adams aveva capito anche questo e anche per rompere questa immagine di sacralità costruita attorno al personale sanitario che si è dato tanto da fare per rendere il medico risibile, una persona, una professionalità di cui si può ridere, con cui si può ridere. Come se fosse un amico e in un certo senso, pensando a ciò che si condivide con lui, esattamente questo è quello che è.

Duplice compito quindi quello del clown di corsia teorizzato da Aldo Palazzeschi nel 1913 e realizzato da Patch Adams sin dagli anni '70: ridere del dolore e della morte e ridere della e con la classe medica con l'obiettivo di imparare serenamente ad accettare i primi e di scoprire che sono solo esseri umani e non divinità i secondi.

Questo è un riso santo.

Ma nel tempo e nello spazio è diventato solletico. La vocazione del clown di corsia come in un telefono senza fili si è distorta fino a diventare quello che si trova nei nostri ospedali oggi: un modo per colmare il desiderio di divertire e di essere al centro dell'attenzione dei nostri pagliacci. Te lo voglio raccontare con un aneddoto, partendo dalla storia di malattia (potenzialmente a decorso letale, ma conclusasi nei migliori dei modi) di mio padre.

Dopo l'operazione all'intestino sono previsti una decina di giorni di ricovero durante i quali si ha la ripresa della normale funzionalità metabolica a spese di dolore, sangue, affaticamento, perdite di ogni tipo, anche umilianti. In quei giorni diventi un pezzo di carne che deve tornare ad essere capace di funzionare normalmente e non è detto che ce la farai. Durante quei giorni sono passati i nostri clown di corsia.

Poveretti, ho pensato come li ho visti in lontananza. Mio padre se li sarebbe divorati anche se stava bene, figuriamoci ora che era in imbarazzo per come stava e dolorante e sanguinante. E infatti ogni cosa secondo copione: arrivano questi con camici da medico visibilmente decorati, nasi da pagliacci, palloncini e ogni genere di sciocchezza da festa di compleanno di bimbi. Il capo comico ammicca qualche battuta a mio padre il quale, sorprendentemente, declina ogni invito allo scherzo e al gioco gentilmente. Il secondo tentativo non fa che fargli alzare il tono della voce; ci vuole un terzo tentativo per far tuonare per aria l'adorata bestemmia. Dovrebbe essere lampante dopo l'antievocazione della divinità che non è aria di scherzo e infatti capo comico e scimmiette si allontanano congedandosi, chiudendo brillantemente la serie infinita di errori. Da dove incominciare per raccontarli tutti?

Primo: non sei ad una festa in cui il pubblico è andato sapendo che ci sarebbe stata l'animazione; sei in un ospedale e non è detto che uno spettacolo da circo sia ben accetto. Secondo, perché vuoi farmi ridere, cazzo? Sto male e forse morirò. Tu non lo sai neanche, non sai chi sono io, non sai perché sono qui, per quel che ne so io, per te sono solo un pezzo di carne da far ridere: sono un oggetto per te. Mi stai oggettivando esattamente come fa il medico quando mi chiama con il nome della mia patologia: di medici distanti e disumani ne ho già abbastanza, grazie. Anzi tu dovresti aiutarmi (ed aiutarli) a distruggere questo tipo di rapporto e invece mi tratti come mi trattano loro.

Come dovresti fare? Beh, potresti presentarti come un medico (ti ricorda qualcuno? Non te lo fanno fare? Cazzi tuoi!) e poi potresti farmi scoprire piano piano che sei goffo e alla fine simpatico e alla fine divertente come un qualsiasi essere umano (capito perché non te lo fanno fare?)

E invece mi vieni con il naso rosso. E il camice dipinto. E invece di chiedermi della mia malattia, mi porti delle idiozie che dovrebbero farmi ridere mentre i punti mi tirano, la ferita drena sangue e pus e non riesco più a defecare. Sei capace di guardare i miei punti, il mio sangue drenato o la mia sacca di urina e riderci sopra? Se lo sai fare bene, perché me lo puoi insegnare, a me fa solo bestemmiare! Invece non lo sai fare. Non ci guardi neppure e quando bestemmio, e questo è l'errore di uscita, neanche mi aiuti a non farlo (a non incazzarmi intendo, la bestemmia va bene sempre e comunque), ma te ne vai?!? Mi lasci al mio dolore? Un vero professionista del clownismo da corsia, Patch Adams sarebbe stato orgoglioso di te.

Ma non è uno, ne ho visti a frotte così in parecchi ospedali in parecchie città. Una santa crociata snaturata a solletico. A risata inutile e deleteria. Forse resta un briciolo di valore per la pediatria. Ma è poco di più che una distrazione dal vivo. Saprebbero questi clown parlare e ridere della morte con un bimbo malato terminale (sinceramente? Non so se riuscirei neanch'io...) Ma sarebbe questa la loro missione, la missione che loro hanno scelto. La risata utile mancata.

Se non mi credi e ne incontri uno, prova a dirgli "Ehi amico, c'ho un tumore, fammi ridere" e vediamo cosa fa: una tacchetta sotto questo post per ogni clown di corsia che non si rabbuia.

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