Tsunami. Terremoto. Tempesta. Comunque la si voglia definire, la consultazione elettorale del febbraio 2013 lascerà a lungo il segno sull’Italia. Tutte le consuete letture politiche e politologiche devono innanzitutto tenere presente un dato fondamentale: a vincere è il partito dell’astensione, vince chi ha rifiutato il voto. Le cifre parlano in modo chiaro. Le due coalizioni che hanno ottenuto maggiori consensi e si sono contese il premio di maggioranza non hanno raggiunto neppure il 30% alla Camera, e lo hanno superato di poco al Senato. Ma attenzione, si tratta del 30% dei votanti, non degli aventi diritto. Chi ha rifiutato il voto è stato, invece, il 25% degli aventi diritto. A questa cifra vanno aggiunti – e pochi lo hanno sottolineato - il 3,50% delle schede nulle e bianche. Molto spesso, infatti, votare scheda bianca o annullare il voto costituisce un’altra modalità (più calda rispetto al non-voto) per manifestare la propria sfiducia nei partiti e nella rappresentanza politica. Insomma, se c’è una maggioranza in Italia è quella che non vuole neppure sentir parlare delle elezioni, perché le ha boicottate chiaramente. Ora, se consideriamo le precedenti elezioni, questo è un ribaltamento radicale dei rapporti tra la forza astensionista e la forza governativa (governativa almeno sulla carta, grazie solo all’incredibile premio di maggioranza ottenuto alla Camera). Nella consultazione elettorale del 2008 la vittoria era arrivata con un centro-destra capace di raccogliere quasi il 47% degli elettori votanti e una partecipazione al voto superiore all’80%: chi si asteneva era quindi ancora minoritario rispetto alla volontà popolare generale. Oggi è vero il contrario. E se a questo aggiungiamo l’altra novità assoluta, ossia la comparsa sulla scena politica di un movimento che raccoglie il 25% dei consensi e ha come prima parola d’ordine quella di liquidare la classe politica, possiamo ben capire che siamo ad una svolta che non è più possibile trattare con faciloneria e snobismo. Chiediamoci perché è accaduto tutto questo. L’analisi che propongo è spregiudicata, lontana da ogni ideologismo, politicismo, moralismo e per questo a mio avviso è in grado di spiegare quello che le vecchie segreterie di partito non riescono a spiegare neppure oggi, dopo la sonorissima bastonata ricevuta.
I partiti vanno considerati come portatori di una sensibilità, prima ancora che di un’ideologia, prima ancora che di un interesse. I poveri analisti che continuano a dire che Berlusconi è votato dagli imprenditori e le sinistre sono votate dagli indigenti sono ancora lontanissimi dal comprendere ciò che sta accadendo da decine di anni. Dovrebbe essere scontato che Berlusconi è votato da decenni trasversalmente (da imprenditori e operai), e lo stesso è valso ieri per Grillo e il Movimento 5 Stelle. Conta più l’essere in contatto con la sensibilità della gente, che non l’ideologia e gli interessi. Chi sarà più vicino alla sensibilità degli elettori, prenderà più voti. D’altra parte, se i politici devono essere i nostri rappresentanti, è giusto anche che sia così. Ora, bisogna partire da una considerazione: la sensibilità cambia a seconda delle epoche ed è trasformata innanzitutto dall’ambiente in cui viviamo. E questo ambiente è plasmato essenzialmente dalla tecnologia di cui ci circondiamo, creata da noi, ma che poi ci ri-condiziona.
Ora, solo se teniamo conto di questo possiamo capire perché a perdere clamorosamente sono non a caso i partiti più obsoleti, quelli che sono restati più lontani dalle nuove sensibilità. Innanzitutto il PD, con Bersani e Vendola. Costoro parlano un linguaggio stantio, da vecchi burocrati, che vorrebbero sembrare seri e invece sono soltanto tristi, tristi perché ormai lontanissimi dalla viva realtà contemporanea. Il tracollo di Ingroia si spiega allo stesso modo. E insuccesso simile è quello capitato a Monti, altro burocrate old style, il più freddo di tutti, il più apatico, colui che in fin dei conti sembra soltanto l’esecutore di una condanna a morte. Non a caso alleato con altri rappresentanti del vecchio mondo politico: Casini e Fini. Tutti questi partiti e questi uomini politici si possono definire gli ultimi rappresentanti della classe politica pre-televisiva, o per meglio dire tipografica e pre-elettronica. Sono uomini che hanno voluto fermare il tempo, fermare il mondo e la vita. Che invece scorre sempre rapida e in questi ultimi decenni rapidissima. Non a caso il vero nemico per costoro è Berlusconi con le sue televisioni. Anzi, costoro sono nemici in generale della televisione e di tutti i nuovi media. Per loro la verità è solo nei libri (quelli che hanno letto loro, si intende) e al massimo nei giornali (sempre e solo quelli che leggono loro!). E veniamo proprio a Berlusconi, che, attenzione, non è uno dei vincitori di queste elezioni (ha perso milioni e milioni di voti ovunque), è semplicemente uno dei sopravvissuti. Ma sembra comunque più in forma dei precedenti. E per quale motivo? Perché è semplicemente già un passo avanti nella sensibilità rispetto a tutti quelli citati precedentemente. Berlusconi rappresenta (ha rappresentato, a dire il vero) la fase della telecrazia, del telepopulismo, stravincente negli anni Ottanta e Novanta, ma oggi anch’essa in agonia. Sia chiaro: non esiste nessun “berlusconismo” se non nelle menti tipografiche già citate, perché la telecrazia è un fenomeno mondiale che ha le sue motivazioni nelle tecnologie dell’informazione, non nel genio diabolico e perfido di un singolo. Chi ancora pretende che Bersani sconfigga Berlusconi pretende che la gente dopo aver provato un’automobile preferisca tornare a usare un carretto. Ci sarà sempre qualche nostalgico, ma la maggioranza non tornerà al carretto e non vorrà neppure più l’automobile, vorrà un elicottero! E oggi hanno trovato l’elicottero. Uscendo dalla metafora, milioni di individui stanno abbandonando anche Berlusconi, ossia la telecrazia, per abbracciare il nuovo paradigma che percepiscono più vicino al loro sentire: la rete, rappresentata da Grillo e dal Movimento 5 stelle. Il Movimento 5 stelle rappresenta in qualche modo il superamento della vecchia politica, di Bersani e Berlusconi insieme. E qui il discorso si fa complesso. Perché se è vero che Grillo è un passo avanti a Berlusconi e due avanti a Bersani, Grillo rappresenta ancora una fase di passaggio. Di qui i tanti motivi di scetticismo nei suoi confronti. Grillo è l’espressione dell’inevitabile stress che caratterizza l’epocale transizione da un’organizzazione sociale verticistica (tipografica o televisiva, in questo caso poco cambia) ad una reticolare e orizzontale. Grillo, così, ha al suo interno residui del vecchio populismo telecratico (e lì sembra Berlusconi), residui del giustizialismo e statalismo tipografico (e lì va d'accordo con Bersani o Ingroia o Travaglio), ma al tempo stesso è portatore di una nuova istanza, quella della rete, della postdemocrazia digitale (una vera e propria "retarchia")che indiscutibilmente è il paradigma emergente. Ecco quindi le sue ambiguità: Grillo ha fondato un movimento accentratissimo e leaderistico come quelli del Novecento, parla da uomo di spettacolo e fa battute a ripetizione come Berlusconi, fa proclami sulla scuola pubblica nello stile dei partiti pre-televisivi, poi però il movimento che a lui si aggrega è reticolare, avvolgente, viralissimo, positivamente oltre-democratico e digitale. E allora abbiamo sì una rete dal basso, ma è una rete monolitica ancora, non ancora consapevole che il futuro non è nella rete unica di cittadini accorpati attorno a un leader di riferimento, ma è nelle reti, quelle di cui è già pieno il web, tribù costituite da individui che condividono interessi, passioni, progetti, utopie. Molti di voi lettori (e anch’io) fannno parte già di diverse di queste nuove reti e questo articolo sarà inviato a diverse reti e quindi condiviso, con la speranza di contribuire a un dibattito e dialogo aperto, che possa crescere e allargarsi. E io come altri, nuovi abitanti della postdemocrazia reticolare, non vogliamo un leader, non vogliamo regole e norme precostituite, ma vogliamo costruire il presente e il futuro cooperando pariteticamente. Non ci saranno leader vecchio stampo nel futuro che si prepara, come non ci sarà un sapere precostituito e comunicato da un’istituzione pubblica centralista. Ma stiamo andando già molti passi avanti.
Ora non resta che cogliere al meglio il momento. Cogliere la novità del duplice virus astensionismo + Movimento 5 Stelle. Provare a motivare astensionisti e stellati a diventare più attivi possibili nel processo di radicale rinnovamento di tutte le istituzioni.
M5S insedierà in Parlamento una rappresentanza che sarà giovanissima rispetto alle precedenti, e finalmente non saranno dei mestieranti della politica. Certo, ci sarà molta inesperienza, ma non è preferibile questa pulita inesperienza a chi ha vestito per decenni i panni del professionista della politica riducendoci in queste condizioni disperate? Io credo che a questo punto i cadaveri della vecchia politica vadano lasciati senza alcuna pietà al loro destino. Il Movimento 5 Stelle se non commetterà errori avrà la maggioranza alle prossime elezioni, ci è andata vicinissimo già questa volta. Il segnale mandato all’Europa da chi si è astenuto e chi ha votato stellato è chiarissimo: questa Europa dominata da burocrati della finanza in Italia la vogliono ormai in pochi. L’Italia sembra quindi davvero tornata avanguardia nella sensibilità contemporanea. Le avanguardie nascono sempre da coloro che colgono per primi questi mutamenti nella sensibilità del loro tempo, fu così nei primi decenni del Novecento, fu così sul finire degli anni Sessanta. E, altra caratteristica fondamentale, quelle furono sempre avanguardie internazionali. Ora ciò che accade con gli astensionisti e M5S è forse più confuso, meno consapevole e radicale all'apparenza, ma anche questo è un segno dei tempi che sono mutati. Speriamo che questa non sia solo una fiammata. Starà a noi che crediamo nel rinnovamento cavalcare ora la radicalizzazione emergente. L’errore più grande sarebbe quello di sottovalutare e snobbare quanto sta accadendo in nome di meticolosi settarismi e presuntuosissime pignolerie professorali.
Antonio Saccoccio